mercoledì 13 marzo 2013

L'uomo in più

L'uomo in più di Paolo Sorrentino, col, 100', It, 2001

’A vita è ‘na strunzata
(Tony Pisapia)

Paolo Sorrentino evidenzia la condizione esistenziale di due uomini (Tony e Antonio Pisapia) che hanno lo stesso nome e destini più o meno simili, per successi e sconfitte. Le due storie scorrono parallele, i protagonisti non si conoscono e non s’incontrano mai, se non nel finale, quando il loro sguardo s’incrocia per un attimo al mercato del pesce; da qui poi si delinea la chiusa della trama in cui il regista, anziché far vedere i due personaggi uniti e affiancati nel prosieguo della loro vita, in un lieto fine sperato dallo spettatore, porta alle estreme conseguenze il tratto esistenziale dei protagonisti con il suicidio di Antonio e l’omicidio commesso da Tony.

L'ampio e acceso dibattito che è seguito alla visione del film si è aperto in primis con il tentativo di identificare il “perdente” e il “vincente”. Il perdente è senz’altro Antonio, anche se è una figura pulita e onesta, un calciatore che non accetta compromessi (per realizzare facili guadagni con truffe sulle partite propostegli dai compagni di squadra) e il suo unico sogno è di diventare allenatore. Antonio appare come un uomo flemmatico, sensibile e fondamentalmente triste e solo, ancor di più lo diventa dopo l’incidente in campo con conseguente rottura dei legamenti, il che non gli permette più di giocare. Così proietta il suo interesse alla realizzazione dell’unico desiderio, tanto da far allontanare, senza rendersene conto (o rendendosene conto?) sua moglie, che finisce col tradirlo e lo abbandona. Egli non reagisce, ma si limita solo a dirle “sei una puttana!” e la lascia andare via. Si chiude nel suo baratro di silenzio, nel suo mondo fittizio del calcio continuando a sperare di ritrovare il successo del passato o una nuova realizzazione della propria esistenza ma, alla fine, quando comprende che il suo sogno sarà irrealizzabile, si uccide con un colpo di pistola, sul campo sportivo. È perciò perdente, perché muore, perché non ha avuto la forza di continuare a vivere! Ha dimostrato che il suo solo obiettivo è raggiungere il potere, il successo, il lavoro! Si eleva immediata l’osservazione: ma perché gli uomini proiettano la loro vita solo sul lavoro? Non esistono anche altri orizzonti? Perché non comunicano con chi vive loro accanto? Perché scelgono la solitudine pur vivendo una relazione? Perché tra di loro non si confidano e confortano? Perché non sono come noi donne, che troviamo naturale confidare nelle amiche, ci aiutiamo reciprocamente, sentendo nostre le sofferenze e violenze che le altre subiscono?

A questo interrogativo gli uomini percepiscono una violenza! Ribattono che nel loro DNA esiste il senso del non poter apparire deboli, perché sono abituati al cameratismo, si giustificano col “siamo stati educati così” e rivolgono accuse al continuo voler giudicare e pronunciar sentenze critiche da parte delle donne nei loro confronti. Riportano, non a caso, l’attenzione sulla mamma di Tony, che quando lo trova nel letto con una sedicenne gli dice “Nel letto di tua figlia ti metti a fare queste porcate, ci dovevi morire tu in fondo a quel mare, stronzo cocainomane”.
Ci si interroga, allora, sul comportamento poco amorevole e comprensivo delle uniche donne (la madre, le due mogli e la figlia di Tony) che il regista fa comparire. Forse anche in questo film c’è “assenza di amore”? Le due mogli si comportano con indifferenza nella vita di Antonio e Tony; la figlia di Tony studia a Londra, dove vive la sua vita, compare solo una volta ed è molto critica nei confronti del padre; la madre di Tony appare come una donna fredda e distaccata, ha un ruolo più determinante, forse perché la morte dell’altro figlio, annegato, come si vede nella scena iniziale del film, la induce a scaricare il suo dolore sul figlio Tony? Tony difatti per tutta la vita è afflitto dalla morte del fratello, come se ne fosse il responsabile e quando, nel finale della trama, uccide il presidente della squadra di Antonio per vendicarne il suicidio di quest’ultimo, questo gesto appare come una vendetta personale, la liberazione della colpa che si porta dalla morte del fratello, la rinascita a nuova vita.

Tony è un cantante di grande successo, che in passato ha già avuto una condanna per spaccio di droga ed ha trascorso quattro anni in carcere. Poi sembra ritornare all’apice del successo, ma l’episodio con la sedicenne, che in seguito lo denuncia e che, nonostante il cantante, al processo, risulterà innocente, non gli consente più di raggiungere il successo. Come Antonio, cade nel baratro della solitudine, tra le fredde mura della sua lussuosa casa, dedicandosi all’arte culinaria nel perfezionare l’elaborazione di piatti, sempre a base di pesce, pietanze che aveva imparato a preparare proprio nelle carceri, luogo dove alla fine, per l’insensatezza della vita, ritrova la sua libertà interiore ed il calore dell’amicizia solidale nei suoi compagni di cella. La figura delineata da Sorrentino è, in questo caso, quella di un estroso, un passionale, un cocainomane, un donnaiolo e un amorale. Durante il dibattito si pone la riflessione se sia giusto o illogico considerare Tony il personaggio vincente: un uomo che, dopo tutto, resta pur sempre un omicida.

Il riscontro della sostanziale differenza tra le personalità dei due protagonisti, così fondamentalmente diversi, questi doppi, questi riflessi, fanno trasparire una dualità in uno, che fa venire alla mente Lo strano caso del dr. Jekyll e di mr. Hyde, ritrovando in questa analogia il significato dell’uomo in più, colui che deve morire per la rinascita dell’altro!

Il film inizia con una citazione di Pelè: “Nella vita non esiste il pareggio. O si perde o si vince”. Forse a dire “o si vive o si muore”; ed ecco perché il perdente sarebbe Antonio ed il vincente Tony. Il dibattito si estende soprattutto sulla solitudine e la tristezza degli uomini, sull’alienazione di due ambienti particolari della nostra società: il calcio e la musica leggera. Si legge il narcisismo nella figura dei due uomini i quali dimostrano di anelare solo al successo e che nel momento in cui lo perdono cadono in depressione.

Infine, un’altra osservazione affiorata è che i due protagonisti, così opposti caratterialmente ma entrambi con un sogno da realizzare, ricordano i personaggi femminili incontrati nel film di Dino Risi, Il segno di Venere. Antonio ricorda la figura di Cesira, mentre Tony è associato ad Agnese.

Il dibattito si è concluso con la richiesta agli uomini di interrogarsi sulla propria identità, sull’ascolto della chiamata a mostrarsi (e non a trasformarsi) per quello che realmente sono nella loro essenza e non per il ruolo che è stato loro attribuito nella società. Riusciranno ad aprirsi al dialogo? Potranno coalizzarsi con serenità e trasparenza per la comprensione reciproca con l’altro sesso?

Elvira Acampora


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