giovedì 7 marzo 2013

Amore e libertà - considerazioni a latere

Frank von Stuck - "Medusa"
Che cosa ci fa paura nei peli della Donna scimmia? Cosa attrae e inorridisce i maschi nel corpo cavo della donna amata? Cos'è che produce orrore e rende agli occhi della donna alieno e mostruoso il proprio stesso corpo? La terra nera? La natura? Forse il non appartenere mai interamente a se stessa? "La donna scimmia", evidentemente, sotto la lente d'ingrandimento del caso estremo, individua in questo corpo e in questo mistero il terreno di incontro e di scontro - di violenza, interesse e tenerezza - che lega l'uomo alla donna - e viceversa - in quel vincolo tenero e violento che è l'amore.

Nietzsche concepiva l’amore come una lotta tra i generi. E forse, a pensarci bene, non aveva poi tutti i torti. Volontà di potenza. Camuffata da buoni sentimenti, s’intende.

Dobbiamo rassegnarci? Dobbiamo accettare l’impossibilità di superare veramente il muro d’incomprensione e di alienità che separa maschile e femminile? Dobbiamo magari anche smetterla di volerci confrontare e tentare di addivenire ad un superamento (dialettico) della dialettica oppositiva?

Certo è che, quando maschi e femmine si confrontano sui temi legati al genere, sembra davvero che parlino due lingue inconciliabili. Siamo stranieri, gli uni alle altre. E le altre, spesso, lo sono a se stesse - straniere, intendo - oltre che a noialtri. Ci manca la lingua, una lingua madre comune che ci faccia intendere. Il logos è maschile. Altro linguaggio, però, pare non lo si riesca a parlare. E dunque?


«L’amore è una religione», dice Giulietta, o gli spiriti che la possiedono.

«Io ho sempre amato la libertà - e voi non sapete nemmeno che cazzo significa», ribatte Toni.

Frattanto, questa incomprensione apre una frattura e questa frattura è una ferita, che lacera non solo la comunità e l’esigenza di comunione, quanto ognuno/a, trasversalmente, entro il proprio sé.

Forse, per poter gettare le basi di un dialogo verace, occorre innanzitutto che ognuno/a sia disponibile a mettersi in gioco e a scardinare, entro se stesso/a, i propri pregiudizi e tabù. Guardare ai propri fantasmi, senza timore, ed affrontarli, una buona volta. Almeno una volta nella vita, verrebbe da dire. Forse occorre, per una volta, mettere in questione i fondamenti di ciò che sembra costituire da sempre il ponte che unisce le persone e che invece si rivela quasi sempre un baratro in cui, non di rado, qualcuno (ma molto più spesso qualcuna) finisce come vittima. Un baratro di violenza celato come una trappola da una parolina magica che vuol dire tutto e niente: l’amore. Come se l’amore, da solo, bastasse a superare qualunque distanza tra maschi e femmine.

Le donne cercano l’amore, si dice. Gli uomini, invece, se ne vergognerebbero. Come se gli uomini non cercassero spasmodicamente - e, spesso, molto più spasmodicamente delle donne - l’amore, la chimera per eccellenza. Ma cosa cercano, uomini e donne, in questa ricerca dell’amore? La felicità? La compagnia? La stabilità? Occorrerà pure, prima o poi, che ci si ponga la questione fino in fondo. Fino in fondo: senza accontentarsi di rimanere sulla superficie antropologica e socio-culturale di quel che si intende per amore.

Le madri insegnano l’amore, i padri la libertà. È un’affermazione che disturba, evidentemente, e che sembra arbitraria. Le donne cercano l’amore. Gli uomini - la libertà. «E voi non sapete nemmeno che cazzo significa». Cioè non sappiamo che significa la libertà. Come non sappiamo che significa l’amore.

Ora, non è che si possa dire una parola definitiva (men che meno definitoria) sull’amore - o sulla libertà. Occorre però interrogare. E interrogare, possibilmente, nella giusta direzione. Domando: che cos’è amore? Che cos’è libertà? Sono opposti tra loro? Si compenetrano o si escludono a vicenda?

L’amore è, innanzitutto, legame. Le madri ce lo insegnano. Ci insegnano il legame. Ci insegnano l’etica dell’amore: il sacrificio di sé per l’altro/a. Che ce lo insegnino, ovviamente, non vuol dire che ci insegnino sempre correttamente.

La libertà: la possibilità di fare ciò che si vuole. No? E perché i padri ce la insegnano? Perché ci insegnano a volere. E ci insegnano la legge che consente di comandare a se stessi il proprio volere. Ci insegnano la libertà perché ci insegnano il dovere. Etica del dovere. Legge del padre. I padri ce la insegnano, ma non è detto che ce la insegnino sempre correttamente.

Tra i due ordini di leggi sussiste e persiste un abisso: la guerra tra i due ordini è scoppiata, almeno, già nella tragedia greca. Precisamente, nell’Orestea. La legge della madre, rappresentata dalle Erinni, in tribunale contro la legge del padre, rappresentata da Apollo. Legge del legame versus legge del dovere. Atena, priva di madre, decreterà dunque il declino della legge materna, quando, come giudice, assolverà il matricida Oreste.

L’amore è la legge del legame. L’amore è legame. Legame - di che tipo? Noi lo intendiamo, di solito, come il vincolo di fedeltà cui si sottomettono le due parti della coppia. L’amore istituisce un patto di fedeltà, un legame che viene sancito, poi, nel matrimonio. E l’uomo non osi sciogliere ciò che Dio ha unito. Questo è il tipo di legame che, innanzitutto, percepiamo nell’amore. Salvo poi renderci conto che il matrimonio è la tomba dell’amore. Perché? Perché senza libertà, così ci sembra, non ci può essere vero amore. Perché l’amore non può essere ridotto ad un contratto borghese. Perché l’amore non può fondarsi sul reciproco interesse. E però è proprio la borghesia ad aver istituito l’amore romantico, il “vero” amore che unisce una coppia in un vincolo liberamente scelto da ambo le parti. E dunque? Non è che qui vi sia in gioco una mistificazione? La libertà, intesa in senso borghese, non può che dar vita a contratti d’amore, inteso in senso borghese.

Perché se continuiamo ad intendere l’amore come libera scelta di un legame, non facciamo che continuare ad intenderlo nei termini di un contratto liberamente sottoscritto. Ma se non così, come intenderlo? Forse occorrerà riguardare alla libertà e vedere se non vi sia un altro senso dietro questa parola.

Forse la libertà non è la possibilità di fare scelte in maniera arbitraria e personale. Forse la libertà non ha minimamente a che fare con le scelte. E così pure, tanto più, l’amore. Ma che libertà è, una libertà che non sceglie? Intanto, ci rendiamo conto che la libertà non ha nulla a che fare con le scelte se solo pensiamo a un bambino a cui sia data la possibilità di scegliere tra due diversi dolci. O a un prigioniero cui sia data la possibilità di scegliere cosa fare durante l’ora d’aria. Evidentemente, la libertà implica una legge interiore che indirizzi il nostro progettare e che, quindi, dia senso alle singole scelte che di volta in volta facciamo, a partire da noi stessi e dal nostro intimo progettare. La libertà è quel senso e quella legge. E la vuotezza del nostro tempo libero dimostra soltanto quanto poco siamo liberi in una società che ci ha completamente disabituati a questa intima necessità interiore, rendendoci sempre più infantili e privi di una capacità di libera progettazione.

Così, senza un’adeguata libertà, ci approcciamo all’amore come si approccerebbe uno schiavo: cogliamo solo la possibilità che, di volta in volta, ci viene offerta, “scegliendo” una distrazione dall’intima schiavitù interiore che ci dia la sensazione di essere liberi, di poter cioè colmare, nelle cure dell’altro, quel vuoto che avvertiamo dentro noi stessi/e. La ricerca dell’amore, allora, in questi termini, si configura solo come una fuga dalla nostra responsabilità. Una fuga da noi stessi. La paura fottuta di rimanere soli. Soli, cioè, con il fantasma di noi stessi.

E così, l’amore non può che essere violenza. Sempre. E tanto più terribile in quanto sottile e indiretta. Certo, talvolta sfocia nella tragedia. Nell’atto violento vero e proprio. E per arginare simili atti può convenire una messa a punto psicologica. Ma l’assenza di simili atti non implica automaticamente l’assenza di violenze. Anzi, spesso ha solo l’effetto di stendere il velo su un quotidiano stillicidio.

Se le donne non si interrogano a fondo su cosa cercano quando cercano l’amore, continueranno ad aggrapparsi al coltello che le uccide. Se gli uomini non si interrogano a fondo su cosa cercano quando cercano la libertà, continueranno ad accoltellare ciò che dicono di amare. Solo sul terreno di un simile confronto, uomini e donne potranno gettare le fondamenta di un dialogo vero e tentare così di instaurare un rapporto virtuoso, che superi la dialettica oppositiva in una superiore forma di integrazione. Volontà di potenza, certo, ancora una volta, ma, stavolta, nella forma di una liberazione.

Diego Rossi

1 commento:

  1. Una parola sulla Medusa. Ho scelto questa immagine perché, mentre inquieta e pietrifica l'osservatore, mostra anche tutta la fragilità e la paura nello sguardo di quella che è e resta una vittima. mi sembrava particolarmente indicata a rappresentare l'ambivalenza nel rapporto tra i sessi. Alberto Biuso scrive: "Filosofia è questo: tu guardi la Medusa ed è lei a pietrificarsi". Personalmente inorridisco un po' a questa affermazione e mi fa venire in mente in pamphlet di Pagés: "La filosofia o l'arte di chiudere il becco alle donne". Sicuramente è qualcosa su cui riflettere. Per parte mia, considero la filosofia, semmai, il coraggio di guardare la Medusa negli occhi, e di riconoscersi in quello sguardo. Senza paure. Una filosofia che pietrifica è solo un'arma.

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