lunedì 6 dicembre 2010

Nosferatu


Nosferatu il vampiro (titolo originale: Nosferatu, Eine Symphonie des Grauens), di F.W. Murnau, 94 min., b/n, muto, Germania 1922.


Con il Nosferatu di Murnau, parte il ciclo dedicato ai Vampiri.
Il termine vampiro è di origine slava ed è formato dalle parole wempti, “bere”, e da uber, “l’essere diabolico”. Di fatto, il vampiro è un demone che beve, un non-morto che per sopravvivere deve nutrirsi del sangue dei viventi.
La prima volta che il termine vampiro appare in un documento ufficiale è collegato al concetto di virus. Infatti, tra il 1600 e il 1700, si assiste ad una vera e propria epidemia di vampirismo in Moldavia. Qui nel 1725, la salma di Andreas Berge viene etichettata come Vampertione infecta. Ma non fu l’unico caso, tant’è vero che solo nel 1824 il Parlamento inglese decise ad abolire la legge che obbligava a trafiggere con un cuneo di legno i cadaveri dei suicidi e di coloro che avevano subito una morte violenta. Era una specie di precauzione. Un modo per difendersi da coloro che, almeno così si pensava, avevano ancora un conto in sospeso con il mondo dei vivi e non riuscivano ad andarsene.
La prima volta che, dal punto di vista letterario, incontriamo il Vampiro, così come noi lo immaginiamo, è nel romanzo di John William Polidori. Questo testo ha origine in una circostanza particolare. Nel 1816, Lord Byron invita a trascorrere l’estate in Villa Diodati a Ginevra il suo medico Polidori, Shelley con sua moglie Mary, e la sua amante Claire.
Come racconta la Signora Shelley, quell’estate fu particolarmente piovosa e li costrinse a stare spesso in casa. Così Byron propose di scrivere un storia di fantasmi. Solo due di loro lo presero sul serio. La prima fu la stessa Mary Shelley, che diede vita al suo Frankestein. Il secondo fu Polidori con Il Vampiro. Questo racconto traccia la figura di un Lord Ruthven, un aristocratico seducente, di prestigio, amato e invitato spesso a prender parte a serate mondane e che fa ciò che vuole delle fanciulle. Chi dimostra scherno o non crede alla sua esistenza, è destinato a pagare a caro prezzo la sua incredulità.
Tutto ciò ci porta alla composizione del romanzo più famoso e più ripreso sui vampiri, Dracula di Bram Stoker. L’impresario teatrale prese spunto non solo dalla letteratura preesistente, dai documenti ufficiali e dalle notizie riportategli da Arminius Vambery, studioso di vampiri che gli parlò di Vlad l’Impalatore, ma da un incubo. Una notte Stoker si svegliò di soprassalto e scrisse su un foglio ciò che avevo sognato.
Un giovane esce, e vede tre fanciulle.
Una di loro cerca di baciarlo, non sulle labbra ma sulla gola.
Il vecchio Conte interviene.
Con rabbia e furia diaboliche.
“Quest’uomo mi appartiene, Io lo voglio”.[1] 

Sarà proprio a partire da questo incubo e intorno a ciò che Stoker scriverà il suo capolavoro, pubblicato in Inghilterra nel 1897.
Alcuni anni dopo, il romanzo verrà tradotto in Germania e da esso Murnau prenderà spunto.
Il suo film non è una semplice trasposizione cinematografica ma rappresenta un modo per esprimere se stesso.
Il film, per alcune ragioni, rappresenta un caso. Prima di tutto perché al regista fu negato il permesso dalla vedova di Bram Stoker, che deteneva i diritti del romanzo, di girare il film. Ma Murnau non si perse d’animo. Cambiò il nome del Conte che divenne Orlok, l’ambientazione e il titolo. Da Dracula a Nosferatu, che in lingua rumena vuol dire proprio non morto (non spirato). Il sottotitolo è eine Symphonie des Grauens, una Sinfonia dell’Orrore. Si tratta, in effetti, di un film muto, in cui la presenza della Symphonie, della musica, è importante. Accompagna tutti i momenti del film, quasi come se fosse una Voce Narrante.
In seguito alla proiezione organizzata dallo stesso Murnau nel 1922, partì l’accusa di plagio che costrinse il regista a distruggere le copie della pellicola. Per fortuna, riuscì a salvarne una.
Questo film fa sicuramente parte della corrente dell’espressionismo per il tema orrorifico, per i toni chiaroscurali, per la visione pessimistica della natura umana e per la presenza di un destino ineluttabile che porta all’infelicità. Come se si sapesse e si sentisse nell’aria ciò a cui stava per andare incontro la Germania degli anni ’20. Allo stesso tempo, questo film mostra alcune caratteristiche della Kammerspielfilm. Le scenografie sono legate alla quotidianità, con interni che indicano la posizione sociale dei protagonisti. Hutter ed Ellen appartengono alla piccola borghesia e la cura dei particolari e degli oggetti lo fa trapelare. Si nota poi che la scena sembra voler essere racchiusa nell’obiettivo della camera da presa. È difficile dire se questo fosse l’intento del regista o se è dovuto ai negativi salvati. Ma lo spazio sembra chiuso tutto in un cerchio.
Un’altra protagonista dominante è l’Ombra. È dall’ombra che il Conte esce per accogliere l’appena arrivato Hutter ed è sempre nell’ombra che lo ghermisce. Come scrive Deleuze: «L’ombra di Nosferatu presenta allo stato più puro l’effetto della Minaccia. L’ombra si prolunga all’Infinito…»[2].
Altro aspetto fondamentale è il viaggio: Hutter riceverà vari segni che lo inviterebbero a non partire, sia dagli uomini che dagli animali. La stessa Ellen si mostra turbata e angosciata. Ma Hutter sorvola su tutto e anzi si affretta verso la sua meta. Davanti a Il Libro dei Vampiri, ha una reazione di scherno, per cui verrà punito, così come accade ne Il Vampiro di Polidori.
Una volta giunto al Castello ha inizio il valzer tra due alterità. Hutter, l’uomo modesto, pavido, che non coglie il vero senso di ciò che gli sta intorno e il Conte Orlok, che riesce completamente a dominarlo. Sia mentalmente che fisicamente.
Murnau stesso è altro, diverso sia per la sua omosessualità sia perché non si sente appartenente alla classe dell’alta borghesia paterna. Per questo, sarà necessario un scontro con il padre, che sarà voluto fortemente e lo porterà a cambiare nome (Murnau è lo pseudonimo di Plumpe) e vita. Da questo momento, Murnau comincia la sua formazione teatrale e dopo sceglierà il cinema come forma di espressione.
Una nota di omosessualità si coglie nel rapporto tra Hutter e il Conte. Hutter si lacera il pollice mentre taglia il pane ed è quasi come se offrisse il suo sangue (Sangue prezioso!) al Nosferatu e lo accetta come parte di sé. Ellen, l’eroina, sembra quasi una veggente. Vede ciò che accade attraverso visioni oniriche e si protende quasi a voler salvare Hutter. Inutilmente, il medico e gli amici penseranno ad una febbre alta! Hutter, invece, si convince che ciò che gli accade siano solo strani sogni. Persiste nel suo non voler considerare la realtà per quel che è. Non accetta quello che succede ogni notte. Quando si renderà conto dell’Orrore, allora scapperà.
Il suo viaggio stavolta è una fuga da Orlok e da quello che è successo. È convinto di poter dimenticare, che abbandonando il Castello potrà vivere come se nulla fosse avvenuto. Contemporaneamente, anche Orlok viaggia. Vuole arrivare da Ellen, che in parte è già sua attraverso le visioni. Si ha anzi la sensazione che tutto il film proceda velocemente per arrivare al momento del loro incontro.
È, inoltre, simbolico che non si capisca chi Ellen aspetti e di chi senta veramente l’arrivo. Ma anche lei si illude. Crede che il ritorno di Hutter la possa salvare. Ormai lei è di Orlok. Si sente pressata dalla sua presenza e dal suo sguardo e decide di sacrificarsi.
Un altro aspetto, forse quello veramente fondamentale, è il femminile. Ellen è la veggente, colei che vorrebbe dissuadere Hutter dal viaggio ma non può perché deve compiersi. Lei è anche l’eroina, la salvezza del mondo e di se stessa. Non può sottrarsi al Nosferatu perché è sua. Significativo è che Hutter, una volta tornato a Brema, non faccia assolutamente niente per informare o per ostacolare Orlok. Proibisce semplicemente a Ellen, che disobbedirà, di leggere Il Libro dei Vampiri e si chiude in casa come tutti alla notizia di uno strano virus.
Altra componente femminile è rappresentato dalle unghie lunghe di Olork e dalla Natura, che sembra dalla parte del vampiro. Gli animali annunciano la sua presenza e la Terra, in cui è stato sepolto, gli è necessaria.


[1] Il foglietto originale, trovato tra le sue carte, è ora conservato nella Rosenbach Library di Filadelfia.
[2] Deleuze G., L’immagine-movimento. Cinema 1, Milano, 1984, p. 135.

Gabriella Galbiati

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