venerdì 12 novembre 2010

L'alba dei morti dementi


L'alba dei morti dementi (Shaun of the Dead), di E. Wright, colore, 99 min., Gran Bretagna 2004.

Shaun of the dead. Shaun dei morti. Shaun tra i morti. Uno dei morti[1]
Sveglia la mattina, piedi sulla moquette, barcolli verso una bevanda calda e del pane tostato con la marmellata, poi lavi denti, faccia e esci in strada. Vai a lavorare.
Ogni giorno, il rituale della quotidianità. Ogni giorno identico all’altro con la rassicurante convinzione che la vita sia veramente tutta lì. Gesti rituali di sveglia, di locomozione, di mercato, di ufficio. Rituale dove il sacrificio della vita è il vivere. Sacrificio rituale che coincide perfettamente con la vita, nel caso del manager con valigetta; sacrificio rituale che coincide con la vita affettiva senza domande, senza sforzi, nel caso di Shaun. Shaun che si rintana nel solito pub; Shaun che subisce senza proposte l’amicizia, la famiglia, l’amore.
Si barcolla per strada e non si distingue un ubriaco da un morto, un drogato da un morto, una commessa, un barbone, una compagna di viaggio. Non li si distingue dai morti, non più. L’Homo Europaeus ridotto a struttura di deambulazione del mercato. Mitumba[2] vivente e magari firmata. Non si  può interrompere la spirale molle e mediocre della nostra esistenza nemmeno se si è disadattati, non possiamo uscire dalla tautologia del vivere per sopravvivere: vivere per lavorare per sopravvivere (Pete), vivere per non vivere per sopravvivere (Ed), vivere per resistere per sopravvivere (Shaun). Sono, queste, la medesima condizione che condivide la radicale mancanza di scelta. Unica decisione di non decidere. Chi fuma e fa male, chi non fuma e fa bene. Nel welfare nordeuropeo non si sceglie, non si diventa. La differenza è contemplata solo davanti a chi fa male e chi fa bene e per questo discrimine ci sono i media.
I Warning, le avvertenze, quelle del no al bagnetto dopo il pranzo, no al fumo, no all’alcol, sì al pilates e alle beauty farm! Biopolitica=tanatopolitica. Struttura portante del welfare, che si regge su questo sì! e questo no! Irreggimentazione fondata sul “si deve per vivere” che argina il contagio, la violenza, anestetizza. Legge girardiana antiviolenza. Pillola matrixiana da ciucciare beati sotto le lenzuola. Automatizzazione del vivente=zombi… ma non diciamo la parola con la z!
Questo lo scenario sul quale si muove Shaun, e Shaun non fa altro che muoversi-barcollare appunto ripetitivamente su uno stesso scenario. Fino a quando qualcuno per lui dice "Basta!" Fin quando la persona che ama non riesce più a rendersi complice della ripetizione senza fine, senza pretese, senza domande.
Allora, anche se lo scenario è diverso, pur se anestetizzato dall’alcool, Shaun decide di mettere in ordine la sua vita. E così, la mattina si sveglia e con orrore scopre i buoni propositi sulla lavagnetta. Cambia qualcosa? No, veramente, almeno fino a quando la fine del mondo non gli entra in casa. Quando l’apocalisse sotto forma di lividi corpi animati sfonda le finestra della sua esistenza casalinga.

I. Bildung

C’è un po’ di romanzo di formazione in questo tongue in cheek. Buoni propositi, fine del mondo, presa di coscienza, assunzione delle responsabilità, spegnere il televisore, uccidere la madre. Non pensare troppo alla cosa giusta ma pensare per lo meno a qualcosa. Shaun viene lasciato da Liz, perché? Perché prima di alzarsi dal suo divano non era capace nemmeno di prenotare ad un ristorante. Shaun è uno che ci tiene agli affetti e che per tentare di gestirli tutti non riesce a fare altro che lasciarsi trasportare dagli eventi. Quando questi precipitano ecco che si trasforma in eroe. Consumato veterano con la benda rossa stile Chris Walk ne Il cacciatore. Ora si può non credere nella televisione, ora si può urlare in faccia al migliore amico che sta rovinando sé e gli altri, ora si può sopportare un rifiuto, fucilare la madre. Shaun non è un duro! Ma è buono, non farebbe mai soffrire nessuno. Si salva per questo? Tutt’altro, si salva perché riesce a fare della sua bontà una potenza. Fallimentare? Sì d’accordo non è questo il punto! Siamo invece all’illuminazione zen degli alberi e le montagne. Prima dell’illuminazione il divano era solo un divano e una birra solo una birra, durante la trasformazione il divano non era più un divano e la birra non era più birra. Adesso per lo Shaun illuminato il divano può tornare ad essere divano e la birra, birra.

II. Noi e gli altri?  

Dove sono andati a finire gli Zombi di Romero, le placide schiere di immigrati logorati dall'apartheid e dal lavoro nero? Dov’è la differenza in città? Crisi di indifferenziazione. Con Shaun of the Dead c’è solo un discrimine tra il consumatore medio e lo zombi e questo discrimine è la sottile linea arbitraria tracciata dalla rappresentazione. È solo la scena, la visione, ciò che distingue il non vivo dal non morto. Il discrimine dato appunto da ciò che non è mai da ciò che è! Per passare attraverso le stupide schiere del male il manipolo di non-eroi deve muoversi come loro, deve essere loro. Il passaggio, il gioco di specchi  è cruciale in questo film (che, ripetiamo, non è una parodia e non è demenziale). Siamo fuori dall’alterità in questo freddo, globalizzato Occidente. Il manicheismo della vita rende impossibile una qualsiasi morale: siamo di fronte all’impossibilità della scelta. Amarissimo. Non c’è più Clint o Rambo: c’è Shaun dei morti, uno tra i morti. Non ci sono più buoni e cattivi, solo non vivi e non morti.

III. Rivoluzione e arte del riciclo.

Il finale è una pura rivelazione. Nell’apocalisse dell’homo œconomicus anche il non morto può essere riciclato. Come ha potuto dire il giornalista di sparare alla testa? Questi dinoccolati e stupidi cannibali sono eccezionali per i lavori ripetitivi, manuali, inutili. Sono mariti che non cambiano, perché bestie erano e bestie restano (anzi magari acquistano qualche voglia in più). Sono anche amici, all’occorrenza, dai quali non possiamo staccarci. SI PUÒ FARE! diceva il dott. Frankenstin. E anche quindi: come abbiamo potuto credere di volerli eliminare? Rivoluzione: dalla non-vita della ripetizione, dopo la fine del mondo si ritorna esattamente al punto di partenza. Tutto ciò che viene prodotto deve essere rimasticato e riutilizzato. Uno stravolgimento per ripristinare lo status quo, che come diceva Hannah Arendt è il nome politico del fantasma.
Infine dò un’occhiata all’ovvio: l’ovvio va sempre setacciato al fondo, come con il barattolo di cioccolata.
Qual è la cosa che più spaventa del non-morto se non il fatto che esso, una volta ucciso, riviva?
Non è il suo ritornare a muoversi che ci scuote l’anima? Non c’è cosa più sacra e al contempo blasfema dello Zombi…
Ma non diciamo la parola con Z!


[1] In Italiano il film è tradotto «L’alba dei morti dementi». Ancora una volta peccando, come sempre le traduzioni dei titoli, poiché si sposta l’accento sul carattere demenziale. Per preservare il gioco di parole shaun/dawn (Dawn of the dead, l’alba dei morti viventi di Romero) avremmo fatto meglio a tradurlo: Albano dei morti viventi.
[2] Nome che indica “la roba dei bianchi morti” ovvero l’abbigliamento che doniamo alla chiesa o alle associazioni umanitarie e che viene venduto in Africa (Mitumba - The Second Hand Road, documentario di Raffaele Brunetti).

Marina Nardone

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