venerdì 4 febbraio 2011

The Shining - Come interpellare il fantasma?


Una breve nota geisterphilosophich su The Shining. Con questa proiezione siamo ormai calati decisamente, e forse improvvisamente, nello spettrale regno del fantasma. Qui tutto si rarefà, si indistingue e si confonde. Forse si rovescia. Probabilmente, orientarsi risulta stranamente più difficile che non con quei non-morti cadaverici finora incontrati: Frankenstein, Dracula, gli zombie. E certamente sembrava quanto mai scontato evocare i fantasmi di questi cadaverici undead onde ascoltarne la testimonianza. Qualcosa cui chi segue questo laboratorio si è ormai abituato. Qui, con Shining, il meccanismo d'evocazione sembra d'improvviso incepparsi. Il fantasma sfugge dalle mani, non ha materia cui aggrapparsi, apparentemente - inesiste, ecco tutto. Non ha ombre da proiettare che si possano quindi far valere nell'interpellazione geisterphilosophich. In Dracula si può scorgere, nella proiezione cinematografica, una proiezione di fantasma, anzi una vera e propria fantasmagoria: il rimosso del sesso, dell'amore, della società, della vita stessa, del potere. Altrettanti fantasmi che l'ombra (animata) del vampiro più famoso della storia proietta in visioni eteriche e sublimi.
Con Shining, lo schema d'improvviso salta. Del resto Kubrick è una presenza ingombrante: nel cinema d'autore risulta molto più difficile far emergere fantasmi, poiché lo fa già l'autore. Allora sembra - sembra - che il meccanismo s'inceppi. Ma ecco, appunto, s'inceppa solo ciò che è un meccanismo. Voglio dire, senza mezzi termini: la Geisterphilosophie non si profonde in un semplice gioco di smascheramento o di ribaltamento, e in generale non adopera meccanismi o schemi interpretativi. La Geisterphilosophie, piuttosto, offre rituali d'evocazione fantasmatica. Che i fantasmi proposti nel film di Kubrick siano i fantasmi di Kubrick non toglie di fatto nulla all'evocazione: si interpellino i fantasmi di Kubrick. Non si tratta di interrogare e rivelar metafore: "il fantasma è: metafora della vita familiare", "il fantasma è: metafora delle paure inconscie" e così via. Nell'interpellazione geisterphilosophich non vi sono imbarazzi: entriamo piuttosto in uno spazio fantasmatico esso stesso, d'auscultazione, per così dire.
Sicché, in primo luogo, vorrei indicare la chiave geisterphilosophich per entrare in questo spazio rituale: il fantasma stesso sfugge ad ogni logica di interrogazione teoretica - e dunque sfugge ad ogni metaforizzazione - per il semplice fatto che è impalpabile. Ma, a rigor di logica, non cambia nulla rispetto ad altri non-morti. Abbiamo qui come lì a che fare col fantasma di un fantasma. Anzi, nel caso dell'Overlook Hotel di Kubrick, con fantasmi di fantasmi. La pluralizzazione introduce ad una perfetta Geisterphilosophie.
Ancora una volta va ribadito: il fantasma in sé non ha nulla da dire. Il fantasma in sé inesiste, e in quanto tale la sua visione non è che proiezione. Ma quella proiezione è per l'appunto un fantasma: fantasma di fantasma. Il fantasma in sé inesiste come inesiste ogni presenza. Il report di Gianfranco Irlanda e Marina Nardone sottolinea con giusta forza la preponderanza dell'elemento speculare nel film di Kubrick: bisognerà notare ancora la totale specularità tra i morti e i vivi, entrambi perfettamente e semplicemente presenti sulla scena. Ecco: il mistero della presenza. Che si rovescia in un'eterna assenza. Sì, sembrerebbe che i fantasmi di Kubrick siano già interpretati come proiezioni schizoidi di una mente degenerata. Oppure freudiani fantasmi di una situazione edipica irrisolta. Pure, l'interpellazione geisterphilosophich permane: che testimoniano questi fantasmi? La vera testimonianza è che, in fondo, tali fantasmi non sono che le proiezioni di fantasmi, giacché se si nega uno statuto ontologico (come pure bisogna fare) a quei fantasmi, lo si dovrà necessariamente negare anche tutti i viventi presenti nel film: non sono forse essi stessi, già da sempre, inesistenti? Chi proietta queste immagini oniriche: Danny, Jack Torrence, il negro o Wendy? Oppure non sono piuttosto, tutti costoro, i sogni immaginifici di Grady, delle gemelline e di tutti gli altri? O sono tutti, invece, i fantasmi di Stanley Kubrick proiettati nel libro di Stephen King? E siamo noi ad assistervi come spettatori? O non siamo piuttosto noi i fantasmi di uno spettacolo onirico, al di qua di uno specchio che ci riflette in un mondo assolutamente fantasmatico?
Questa stessa chiave, con ogni probabilità, andrà tenuta presente ogni qual volta si tratterà di interpellare fantasmi. Ciò che mi premeva sottolineare in questa sede.

Diego Rossi

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